Da Venere a Venere

Da Venere a Venere

Mi capitò tempo fa di andare al Pronto Soccorso, mia moglie era caduta da una scala e si era rotta in vari punti. Era imbottita di antidolorifici e dormiva il sonno dei sofferenti e a me, seduto di fianco al suo letto, non restava che osservare la varia umanità che si alternava nello stanzone d’ospedale. Un movimento di lenzuola nel letto accanto attirò la mia attenzione: come una tartaruga dal suo carapace spuntò la testa di un ragazzino. Gli sorrisi con un ciao al quale rispose con un salve che esprimeva tutto il gap di età che ci divideva.
Andai fuori a fumare una sigaretta. Era mattino presto e nel cielo scorsi Venere, luminosissima. La mia buona stella, pensai, giornata fortunata! Al ritorno il letto del ragazzo-tartaruga era vuoto. Un’infermiera azzurra si avvicinò e mi chiese: “Dov’è andato il ragazzo? Lo aspettiamo per la TAC, glielo dica lei, è suo padre?” “No”, e un brivido mi corse lungo la schiena, io non avevo figli, purtroppo. Lui tornò trascinandosi appresso una piantana con la flebo. Visto in piedi notai che era molto magro, poveretto, chissà come mai era lì dentro.“Ti hanno cercato”, gli dissi “devi fare la TAC”. Non sembrò interessato alla cosa e con movenze lente, degne del suo status, si sdraiò, spossato. Prese il cellulare e fece vorticare il pollice sullo schermo come solo i ragazzi sanno fare. Poi con l’unico braccio libero tentò di sistemarsi i cuscini dietro la schiena. “Vuoi una mano?” “Sì, grazie”. “Ci mancherebbe”, sono tuo padre, pensai. Riprese il cellulare: “Ma chi è questo?”. Lo disse per farsi sentire da me? Forse. “Mi scrivono, ma io non li conosco”. Il mio sguardo doveva avere i punti interrogativi al posto delle pupille perché subito dopo aggiunse: “Ho perso la memoria. Ho battuto la testa e non mi ricordo più niente. Mi arrivano dei messaggi, e non so chi sono”. Rimasi instupidito, senza sapere cosa dire, ma l’infermiera azzurra che era tornata mi tolse dall’imbarazzo. Prima di andarsene, il ragazzo-tartaruga mi disse: “A dopo”. Quindi ci sarebbe stato un dopo, avevo il tempo di riordinare le idee e recuperare l’impasse. Ha perso la memoria? Non sa chi è? Mi balenò allora nella mente un pensiero spudorato. E se gli dicessi che sono suo padre? Che anche la mamma è caduta con lui e presto ce ne torneremo tutti e tre a casa? Ci occuperemmo di lui, lo accudiremmo e alla nostra morte erediterà la casa… e immerso nella mia allucinazione vidi con occhi nuovi rientrare il tartarughino: “Mio padre è venuto a prendermi, i medici dicono che sarà questione di qualche giorno, poi mi ricorderò”.
Assaporavo la sigaretta, e nel cielo terso dell’imbrunire brillava la stella della sera, ancora lei, Venere. Che illusione, pensai, Venere non è una stella!

di Ester Tognola

Il racconto del giorno feriale (dagli autori della nostra scuola di scrittura SCRIVERE IL CORTO)


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