Il re marziano
Io sono il Nero. Le dita sporche di terra stringono la testa del cavallo. Osservo il Bianco. Occhi scuri come la madre, poco più alto di uno stocco di granturco ai primi di giugno. Sandy, dodici anni, mia nipote. Giochiamo a un tavolo del pub di Bud, sulla End Street. Il televisore è sintonizzato su un nuovo canale che trasmette notizie 24 ore su 24. Notizie dall’Iraq. Stiamo vincendo.
Se avanzo in C7, in due mosse sarà scacco matto. Lascio la presa, sposto un pedone in A4, che la partita duri più a lungo.
Sulla strada passa un carro funebre, altre auto lo seguono, tutte nere, tutte di grossa cilindrata. So di chi si tratta: John Mann. Un’onesta carriera di compositore a Hollywood e il desiderio di essere inumato accanto al fratello, morto di cancro alla stessa età di Sandy, nel ’49. Si chiamava Robert, una testa troppo grande per quel corpo magro, ti fissava sempre sorridente con i suoi occhi da albino e suonava il banjo. E per noi, che eravamo giovani in quegli anni, era conosciuto come il Re Marziano. Quel soprannome gli piaceva, e se era stato coniato per offendere, perse in breve tempo tale accezione negativa.
Regina in D6. Mi mette in difficoltà la piccola.
Ricordo quando i fratelli entrarono nell’emporio di Jack Prest, entrambi con un strumento a tracolla. Robert impilò sul bancone una dozzina di monete da un centesimo, ordinò una gazzosa, o “gaazzosaa” come la pronunciava lui, in quel modo tutto suo di prolungare la vocale “a”.
Jack gli restituì il denaro. “Oggi offro io”, disse. La reazione del ragazzo fu incredibile. Si scostò dal bancone spingendosi con le braccia, compì una mezza giravolta e al contempo imbracciò il banjo. Gli occhi grigi si illuminarono, ammiccò al fratello, che, sapendo cosa stava per accadere, era già pronto con la chitarra.
L’ambiente si riempì di musica. Accordi su accordi, note su note. Robert toccava e pizzicava le corde a una velocità impressionante con la stessa competenza di un professionista. John stentava a stargli dietro con la sua Fender. Il Re Marziano, che a fatica avrebbe scritto il suo nome su un foglio di carta, si rivelò un musicista fenomenale.
Torre in D2. Difesa a oltranza.
Il povero Robert non entrò più nel locale di Prest, né camminò per le strade polverose di Given. I medici non gli allungarono la vita, come era solito fare lui con le “a”.
Molti anni più tardi, John Mann inserì quello stesso brano nel film Deliverance*.
«Scacco Matto!» Sandy mi coglie di sorpresa. Quel viso pieno di lentiggini mi guarda compiaciuto. Eh già. Il mio pezzo più importante non ha vie di uscita.
Sconfitto, perché distratto da un altro Re.
*Un Tranquillo Weekend Di Paura.
di Zoni Gian Paolo, illustrazione di Mauro Speri
Il racconto del giorno feriale (dagli autori della nostra scuola di scrittura SCRIVERE IL CORTO)
- Mio nonno
- La gara
- Il marionettista ovvero il Tredicesimo arcano circense
- Una tranquilla domenica di guerra
- Viola
- Il cavallino rampante
- Italia Germania 4-3
- Sansone & Dalila
- Il maestro del tè
- Lungo il fiume
- Flock
- I ragazzi down e il significato dell’arte
- 11 maggio 1999
- Al Sass de Stria
- Pasqua 1985
- Regalo di Natale
- I luoghi mai raggiunti da mio padre
- Luce ferma
- L’attore
- Un angelo caduto
- La scarpa
- Luna bianca (Mwezi)
- La vecchia tigre
- Ero lì
- La palla ovale
- Neve di febbraio
- Milano Marittima, 1959
- E la neve scendeva fitta
- Hanno ucciso l’uomo ragno
- Seconda stella a destra
- Il mio ragazzo di colore verde
- La prima cena
- Appuntamento con la felicità (ovvero i colori dell’amore)
- I muscoli del Capitano, parte seconda
- La prima stella
- Nuvole, 2050
- Nikolajevka (26 gennaio 1943)
- Un mondo senza colori
- Infinite strade
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