Giovedì nero

Giovedì nero

Il giorno in cui scattò la fotografia Tamara indossava un elegante cappotto con inserti di volpe argentata sul collo e sui polsini.
Era una grigia giornata invernale; l’umidità copriva il giardino e rendeva pesante l’aria. Aveva esitato prima di varcare l’alta cancellata di ferro brunito dalle punte lanceolate.
Non sorrideva: l’espressione tirata e sul viso un velo di malinconia. Alle spalle una villa liberty e un viale costeggiato da cespugli spogli.
La villa dei nonni, il luogo dei suoi giochi estivi di bimba, dei pomeriggi domenicali trascorsi nell’orto e dei Natali caldi che sapevano d’arrosto con le patate e di torta di mele. Amava quella casa e aveva sempre pensato che un giorno , proprio lì, lei avrebbe accolto i nipoti.
Erano passati tanti anni da quando aveva fermato quel luogo con uno scatto, come se temesse di perderlo o dimenticarlo.
Ricordava le ultime foglie gialle a terra che non si notavano nella fotografia in bianco e nero e, se chiudeva gli occhi, sentiva ancora il profumo di terra bagnata e di muschio. Poche settimane prima il crollo della borsa di Wall Street: il 24 ottobre 1929, passato alla storia come il “giovedì nero”.
Tamara ripensò ai nonni, contadini italiani emigrati alla fine del 1800 per cercare fortuna negli Stati Uniti, la Terra Promessa. Le sembrava di sentire ancora i racconti dei loro sacrifici per raggiungere un po’ di benessere da lasciare in eredità a figli e nipoti. E all’improvviso la crisi, il fallimento di banche, industrie e piccole imprese agricole che avevano investito tutto il loro denaro in macchinari moderni.
Le testate giornalistiche riportavano numeri spaventosi in caratteri cubitali neri: tredici milioni di disoccupati.
La voce di suo padre tremava: per fronteggiare i debiti non restava che ipotecare la “ casa di famiglia”, come ormai la chiamavano, simbolo concreto e visibile che ce l’avevano fatta. Sconforto e paura presero il posto di ottimismo e fiducia.
I ricordi di quegli anni scorrevano vivi mentre se ne stava seduta davanti al camino acceso con una scatola di vecchie fotografie sulle gambe. Le avrebbe mostrate l’indomani alla nipote, sempre pronta ad ascoltare le sue storie. Un brivido la scosse. Si alzò, ravvivò la fiamma e si affacciò alla finestra. Sorrise. Fuori era buio, ma la luce dei lampioni illuminava l’alto cancello di ferro brunito dalle punte lanceolate da cui partiva il viale che portava alla villa.

di Annarosa Confalonieri

Il racconto del giorno feriale (dagli autori della nostra scuola di scrittura SCRIVERE IL CORTO)


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