Che ci faccio qui sopra, in un letto sulla capote di un’automobile?
Dovrei rispondere “è una lunga storia” o qualcosa del genere, in realtà non è né breve né lunga, è solo una storia.
Comincia molti anni fa, un sabato sera a cena, la pizza preparata da mamma in tavola e la partita di pallacanestro su RAI 2.
Papà era un appassionato, di quelli che non si scompongono mai, ma ci tengono.
Io, bambino, osservavo lo schermo senza capire granché.
Ogni tanto azzardavo una domanda, allora papà si voltava verso di me e provava a spiegarmi qualche regola del gioco, come quella dei passi o quella dei trenta secondi per tirare a canestro.
Immancabile, il mio disarmante “Perché?”.
Quella volta però, papà si era sbilanciato:“Se quest’anno arriva la Stella – aveva detto a voce alta – ti porto al palazzetto a vedere una partita dal vivo!”
La Stella…
Una nuova, misteriosa entità si affacciò nei miei sogni di bambino.
Per settimane fantasticai su cosa potesse essere, senza avere il coraggio di domandare nulla.
Un pomeriggio a casa di Leo, il mio compagno di banco, scoprii dalle parole di suo fratello che rappresentava la vittoria di dieci edizioni del campionato italiano di basket.
Alla nostra squadra ne mancava ancora una per potersene fregiare, ma in città nessuno dubitava che presto l’avremmo raggiunta, come una promessa che attendeva solo di essere mantenuta.
Sono passati molti anni da allora a oggi, ma quella Stella non è arrivata.
Da buoni tifosi io e papà non ci siamo lasciati scoraggiare da questo ritardo e abbiano trovato altre occasioni per goderci insieme una partita dal vivo, sino a quando non è stato lui a partire.
Quando ci penso immagino sia andato a tenerle compagnia.
Il bambino dentro di me, al contrario, è rimasto in attesa di quel momento, fino a stasera, quando i ragazzi della Pallacanestro Varese si sono aggiudicati l’agognato scudetto della Stella, la nostra chimera. Papà era con me, piegato in una fotografia scattata insieme anni prima e per tutta la partita è stato come averlo di nuovo accanto.
Per questo sono qui e ho appeso quel cartello alla testata del letto:“Se è un sogno, non svegliatemi!”

di Daniele Bin, illustrazione di Lucia Casavola

Il racconto del giorno feriale (dagli autori della nostra scuola di scrittura SCRIVERE IL CORTO)

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L’atmosfera del locale è carica di musica e fumo; un’impalpabile nebbiolina aleggia nell’aria in barba ai divieti appesi alle pareti.
Pochi clienti questa sera, d’altra parte è mercoledì: giusto un paio di tavoli in disparte e qualche habitué a darsi il cambio al bar.
Benvenuti al Sassofono Blu, da oltre quarant’anni approdo sicuro per nottambuli convinti e occasionali frequentatori delle ore piccole.
Da sempre uguale a sé stesso, sopravvissuto al passare del tempo.
Dal palco le struggenti note di Woman di Neneh Cherry graffiano l’anima prima che l’aria: “You gotta be fortunate / You gotta be luckynow” (1) …
Un bicchiere di whiskey sul bancone è rimasto a fare da segnaposto di fronte a uno sgabello vuoto.
La Rossa seduta fino a un attimo prima si è alzata dopo averne bevuto un sorso.
Di che colore erano i capelli di Venere? Giurerei come i suoi, del colore della passione.
Avvolta in un tubino nero che pareva una seconda pelle, le sue gambe gridavano “Vieni a prendermi!”
Sventole del genere si vedono di rado in posti come il Sassofono Blu: sono tipe da privé di qualche discoteca di corso Como, accompagnate a un viveur ben in grano.
Al ritorno dalla toilette, però, nessun uomo ad attenderla.
“There ain’t a woman in this world / Not a woman or a little girl / That can’t deliver love / In a man’s world” (2) intonano dal palco di donne coraggiose che soffrono e che amano.
Una lacrima improvvisa svela la sua tristezza; riga il viso e le cade sulle gambe.
Il tubino attillato ora è un travestimento che la tiene prigioniera.
Che emozioni provava Venere? Il mito non lo dice.
La descrivono di immensa bellezza, capricciosa e volitiva.
Mai una parola, invece, sui suoi sentimenti.
Ha mai amato la Rossa prima di stasera? Ne sarà capace in futuro?
Conoscerà la risposta solo chi saprà frugarle l’anima anziché le mutandine.
“I’ve died so many times / I’m only just coming to life” (3) continua la musica.
Mi alzo e vado da lei.

Note
1 Devi essere fortunata / devi essere fortunata ora
2 Non c’è una donna a questo mondo / non una donna o una piccola ragazza / che non possa donare amore / in un mondo
di uomini
3 Sono morta così tante volte / che sono appena rinata

di Daniele Bin

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Lo chiamavano Nuvolari perché al volante era un asso.
Gli avevano cucito addosso quel soprannome da un momento all’altro, però gli piaceva, sapeva di cielo e di sogni.
Ironia del destino, guidava un’Alfa rossa come il grande Tazio. Se c’era qualcosa di cui non era a corto erano proprio i sogni; al contrario i soldi non bastavano mai.
Campava con un misero impiego da meccanico, eppure nessuno meglio di lui sapeva mettere a punto un motore.
Era successo anche con il quattro cilindri boxer di Corsaiola, la sua Alfa, capitata un pomeriggio sul ponte dell’officina.
Millesette, sedici valvole, centotrentasette cavalli, fu amore appena alzato il cofano.
Da quelle parti bazzicavano certi tipi loschi che organizzavano corse clandestine di automobili; aveva bisogno di soldi per mettere le ali ai suoi sogni e quella era la sua occasione.
Ben presto scoprì di avere talento per la velocità e conobbe l’ebbrezza della vittoria.
Di trionfo in trionfo la posta in palio cresceva, gli avversari si facevano più agguerriti e lui sempre un soffio più veloce di loro.
Decise di correre un’ultima volta, poi via per sempre in qualche posto esotico.
Un giro completo del Grande Raccordo Anulare in notturna sarebbe stata la sua ultima gara.
Partenza all’una da via della Magliana e ritorno, per il primo al traguardo un cachet da cento milioni di lire.
L’esplosione di due grossi petardi e le macchine schizzarono oltre la linea di partenza.
I motori ruggivano, affondò sul pedale giusto prima della rampa d’ingresso del GRA e si portò in testa.
Le auto si allargarono fra le corsie, il ritmo di gara scandito dallo slalom nel traffico della notte; lui al comando, gli altri all’inseguimento.
Casal Lumbroso, Aurelia, Montespaccato, nel retrovisore guizzavano i lampeggianti delle pantere: quella sera si giocava a guardie e ladri.
Boccea, Casal del Marmo, Trionfale, i fari degli inseguitori non mollavano, ma non riuscivano ad avvicinarsi.
Non gli bastava vincere, era la sua ultima gara e doveva essere un’apoteosi.
Settebagni, Bufalotta, Nomentana, mille pensieri in testa, persino quell’ex pilota che raccontava di vedere sempre una donna in abito scuro sul sedile accanto superati i duecento all’ora.
Diceva che era a causa di certe endorfine che produceva il cervello sotto stress. Schiacciò a tavoletta per lasciarsi tutti alle spalle.
Non si era mai spinto a tanto; l’anteriore sinistra non resse, il mozzo saltò e la macchina entrò in testacoda. La Donna fece scivolare le spalline del vestito e lo tirò a sé.

d Daniele Bin, illustrazione di Lucia Casavola

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