POTREMO MAI PERDONARCI?
di Maria Novella Lombardi
Ci sono frasi che evocano in chi ascolta un’immediata adesione emotiva. Hanno in sé gli elementi di convalida di quanto enunciato, tanto da far apparire inutile ogni approfondimento critico. Capolavori della retorica, nella pubblicità costruiscono per il prodotto un primato di bellezza/desiderabilità associato a superiorità/qualità morali, in un binomio Kalòs Kai Agathos retaggio dell’antica Grecia.
Si pensi ai natalizi panettoni e pandori capaci di generare magicamente buoni sentimenti.
Una pretesa di veridicità che si estende oltre la relazione fra il claim e l’oggetto reclamizzato, investendo aspetti del vivere che con esso non hanno relazione.
Un tipo di frasi proprie anche della comunicazione politica, bandiere di posizioni giustificatorie di idee o condotte, delle quali, proprio in virtù di tali frasi, si afferma l’incontestabilità. Attualmente chi supporti l’ineluttabilità della reazione di Israele al brutale attacco di Hamas del 7 ottobre, ne cita una di Golda Meir, premier Israeliana al tempo della guerra dello Yom Kippur, “Noi potremo un giorno perdonarvi di avere ucciso i nostri figli, ma non potremo mai perdonarvi di averci costretto ad uccidere i vostri”. Potente, suggestiva, pronunciata a nome di un intero popolo, può essere suddivisa in due parti distinte.
La prima, che sancisce la magnanimità, superiorità e clemenza di un certo gruppo, “Noi potremo un giorno perdonarvi…”, funge da premessa alla seconda, in una sorta di sillogismo nel quale, dando per vera la prima parte, quella in cui ci si dice capaci di perdonare persino l’uccisione dei propri figli, diventa automatica la “verità” della seconda, ovvero che sia più dolorosa per chi la commette, l’uccisione dei figli altrui, esaltando ancora la superiorità morale prima sostenuta.
Ne deriva pure che la causa dell’impossibile perdono per le morti provocate, risieda non in sé, ma nella perfidia del nemico, tanto mostruoso da non lasciare spazio ad alternative e a “costringere” alle uccisioni dei suoi figli.
Si dà per comprovato che non vi siano altre scelte rispetto alla guerra, alla vendetta e all’annientamento, e che le possibili soluzioni siano state davvero tutte esperite.
Oltre alla demonizzazione, al nemico viene attribuita anche la disumanizzazione e la colpa, suggerita implicitamente, di non amare a sufficienza i propri figli, così da evitargli l’uccisione da parte di chi è stato “costretto” a farlo, non condannabile perciò per tale azione. Quel che più fa riflettere, è che attualmente la frase viene citata mentre l’operazione su Gaza è ancora in corso. È come se si pretendesse l’assoluzione preventiva per essere nuovamente “costretti” ad impietose azioni di guerra che causano la morte di civili e bambini, si badi, non già accadute, ma in corso d’opera e ancora da commettere! E lo si fa richiamandosi, loro come i loro nemici, ad un Dio ridotto a meschino tifoso dell’una o dell’altra squadra. Apparentemente costruita con una logica similare, di grande efficacia comunicativa, è un’altra frase, di Gabriel Garcia Marquez, che pare da segnalare. Anch’essa in un certo senso basata su un sillogismo e costituita da due parti correlate. La prima parte pare affermare un altezzoso privilegio, un dato di superiorità morale o materiale “Un uomo ha diritto di guardare un altro uomo dall’alto in basso…”, ma conclude imprevedibilmente negando la premessa, mutandone così il senso profondo: “… solo in un caso. Aiutarlo a rimettersi in piedi”. Nessuno fraintenda però, senza per questo sentirsi autorizzati ad averlo prima steso.
Selezione di articoli da XI Concorso “Il Corto letterario e l’illustrazione”, GIORNALISMO ( Sezione dedicata a Pierfausto Vedani)
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